Il Muralismo e gli anni della calce

“Era giugno di tanto tempo fa. La memoria non è più così lucida, i ricordi sono soffusi nelle sensazioni dell’entusiasmo, nello stupore di tanta gente, per i muri bianchi! I volti cotti dal sole incorniciavano sorrisi pieni di amicizia e di spontanea partecipazione. Le mani callose stringevano altre mani. La lunga processione del Corpus Domini si snodava nelle strette strade imbiancate di calce, i mattoni crudi si vestivano a festa con le frasche portate dai giovani e con i primi colori sui muri. Si iniziava inconsapevolmente la nuova storia di San Sperate, una storia scritta con i colori dell’entusiasmo”. Pinuccio Sciola

 


Tutto ebbe inizio nel 1968, anno di grandi fermenti politici e culturali, quando Pinuccio Sciola rientrò a casa dopo una serie di stimolanti viaggi in Spagna, Francia e Austria. Carico dell’esperienza internazionale, il giovane artista contagiò presto la sua comunità con una vulcanica voglia di cambiamento fondato sui valori dell’arte e della partecipazione attiva della gente alla riscrittura consapevole del proprio futuro. In concomitanza con la festa religiosa del Corpus Domini, Sciola e i suoi amici iniziarono a ricoprire gli umili muri fatti di fango con strati di calce. L’operazione, una vera e propria performance essa stessa, sorprese positivamente i compaesani, incuriositi ed ammaliati dal bianco accecante esaltato dal potente sole d’estate. Durante i cosiddetti “anni della calce”, così, nacquero i primi murales, molti dei quali riprendevano soggetti di carattere antropologico e politico.

San Sperate divenne ben presto un laboratorio di creazione e confronto e, complice l’attenzione della stampa nazionale ed estera, negli anni successivi arrivarono numerosi artisti, molti dei quali stranieri, che diedero il loro entusiastico contributo dipingendo nuove opere dai soggetti più disparati. I primi a sposare l’idea furono protagonisti dell’arte sarda come Foiso Fois, Liliana Cano, Gaetano Brundu, Giovanni Thermes, Giorgio Princivalle, Nando Pintus e Franco Putzolu. Tra gli altri giunsero poi Rainer Pfnürr ed Elke Reuter dalla Germania, Meiner Jansen dall’Olanda, Otto Melcher dalla Svizzera e José Zuniga e Conrado Dominguez dal Messico. E proprio il Messico, patria originaria del muralismo moderno, riveste un ruolo significativo in questa straordinaria avventura creativa che dura ancora oggi. Da bambino, mentre nelle stellate notti estive osservava in lontananza le luci della città, Pinuccio Sciola sognava il Messico che, nella sua già fervida immaginazione, si ammantava di un’aura leggendaria. Nel 1973 il sogno divenne realtà quando l’UNESCO invitò Sciola a recarsi nello stato centro-americano. La conoscenza di David Alfaro Siqueiros, uno dei grandi maestri del muralismo messicano insieme ad Orozco, Rivera e Tamayo, si tradusse in un  empatico gemellaggio tra San Sperate e Tepito, quartiere storico di Città del Messico.

 

Nei decenni successivi, proprio le relazioni internazionali hanno rappresentato la linfa fondamentale del cosmopolitismo illuminato portato avanti con orgoglio dal paese e dai suoi abitanti, legatissimi alle proprie radici ancestrali ma, allo stesso tempo, aperti al dialogo costruttivo col mondo.